Storia

La Storia

 

Oggi si dice “osteria” e si pensa a quattro tavoli sotto un “bersò”, cori stonati e giocatori che imprecano segnando i punti col gesso. Ma l’osteria di Faustino, fra la Via Emilia e il Po, era una vera azienda, fulcro di attività economiche e aggregazioni sociali. Il progetto dell’osteria era nato ad Augusta – Maine, Stati Uniti. Faustino era emigrato in America nel 1901. Da Genova a Boston ci volle un mese di nave; poi i tanti mestieri da emigrante e nel 1906, una settimana di treno fino a San Francisco per la ricostruzione del dopo-terremoto. “Adesso è ora di tornare a casa”… deve aver pensato Faustino. I fratelli che lo avevano seguito dall’Italia, non vollero interrompere il “sogno americano” e rimasero (Faustino era tornato indietro apposta, cinque anni prima, per traghettarli tutti oltreoceano).

Cambiati i sudatissimi dollari in tante lirette, realizza il suo “sogno italiano”: aprire un’osteria. Sopra l’osteria c’era l’abitazione; sotto l’osteria c’era la cantina dove si pigiava l’uva delle colline e si imbottigliava il rosso. Dietro all’osteria, nella corte, c’erano gli stabbi dei maiali che Faustino ogni inverno macellava per fare i salami e le coppe da servire ai tavoli, specialmente ai “turisti” che arrivavano la domenica dalla Città in bicicletta, e da vendere nella “butéga” degli alimentari, portata avanti dalla nonna Zelinda, che apriva i battenti proprio a fianco dell’osteria; e anche la privativa dei tabacchi faceva parte del “centro commerciale” osteria, per vendere le nazionali, i toscani e il sale. E dal 1930 un pezzo d’orto adeguatamente spianato diventerà il “sóg dàl bocci”, come alternativa dinamica alla sedentaria briscola.

Dopo i momenti molto difficili della guerra l’osteria riaprì i battenti ma nel 1957 ci si accorse che il mondo era cambiato: la gente se ne andava dalla campagna per cogliere le opportunità del risveglio economico, sottraendo clienti all’osteria; anche il modo di bere e di incontrarsi stava rapidamente cambiando. Fu così che la figlia di Faustino, la Gina, decise di andare in Città con il figlio Gianni, poco più che ventenne e tanta voglia di fare. La pasticceria Aragnino, nell’elegante palazzo Cusani, fra Via Garibaldi e Via Melloni, era più di quanto avessero mai sognato; un grande locale su sei vetrine, una grande sala da tè, la sala bigliardo e, d’estate, i tavolini allineati sotto i tendoni lunghi fino a terra. La clientela del caffè Aragnino era formata dalla bella gioventù cittadina, un po’ scapigliata, e dalla vecchia “aristocrazia” parmigiana in po’ in decadenza. Molti gli intellettuali che tornavano da Milano e da Roma dove si erano affermati; Attilio Bertolucci sedeva al tavolino d’angolo in dialogo silenzioso con la sua Città; Renata Tebaldi vi faceva sempre tappa durante i frequenti ritorni a casa dalle trionfali tourné.

Ma Gianni capì anche l’affermarsi di una clientela più popolare e sistemò una grande televisione nella vecchia sala da tè; tutti volevano vedere il quiz di Mike Bongiorno… e naturalmente fu un successone! Durante la stagione lirica, il caffè si animava a tarda ora per il dopo-teatro, ai tempi in cui il Regio (clicca) era ancora “Il Regio” … Una certa sera, Gianni “diede asilo” nel suo locale ad uno stuolo di signore eleganti, che si contendevano gli strofinacci del bancone per ripulire alla bell’e meglio i lunghi abiti di grogré dalle uova lanciate dai “contestatori”; così si presentò il “giro di boa” del ’68. Nel 1970 il locale cambiò radicalmente per incontrare i gusti di una nuova clientela che, a partire anche dalle uova volate due anni prima, stava rivoluzionando gusti e stili di vita. Si disse addio alla sala da tè e fummo i primi, fra i grandi locali del centro, a coniugare il buon caffè e le paste mattutine alla tipica “panineria” alla parmigiana, con i salumi tipici e i prosciutti in bella mostra, una formula che è ancora attuale ai Tempi Moderni. Ora è normale… ma nel 1970 i panini li facevano solo i salumieri e alcuni piccoli locali dei borghi; fu così che il panino si affacciò in un locale del centro da consumarsi al tavolino e non più da portare a scuola o in cantiere “fatto su” in un cartoccio.

Il vecchio mercato di Parma, la Ghiaia, ci balenò in testa e ci trasferimmo al bar Ghiaia nel più bel centro commerciale che la città abbia mai avuto, tanti banchi, voci nostrane con pigli irriverenti tipici della vera parmigianità, ruvida e diretta in tutta la sua genuinità. Nei ricordi di Lorenzo l’ultima generazione della nostra famiglia c’è piazza Ghiaia gremita e costipata di persone che durante il periodo di Natale per non perdersi si poteva attraversare solo per mano del nonno Gianni.

Ci siamo portati dentro fin qui Ricordi senza nostalgia, voci, visi e sapori. Fino al 1994 quando l’attività riparte dal polo nascente di Viale Piacenza, che da strada anonima e periferica si avviava a diventare il “centro europeo” della Città; le prime opere di recupero delle aree industriali fino all’insediamento, nel 2004 dell’EFSA, Autorità Alimentare Europea… gente che di roba buona se ne intende e che si può vedere regolarmente servita ai tavoli del “Tempi Moderni Grill Cafè”…

Ci siamo ispirati al film cult di Charlie Chaplin per significare lo spirito innovativo nel segno dell’equilibro fra prodotto tipico e nuovi modi di intendere la pausa pranzo e le specialità da forno, accanto alla caffetteria della miglior tradizione italiana; con un servizio dinamico ma accurato e attento alle esigenze delle persone.